Privacy: Apple prova a scardinare l’efficacia dell’open-rate
Durante il consueto evento mondiale di Apple (WWDC21) dello scorso 7 giugno, l’azienda della “mela” ha presentato come sempre tantissime novità compresa una che riguarda molto da vicino il mondo dell’email marketing.
Si tratta del Mail Privacy Protection (in sigla MPP), una sorta di livello di protezione aggiuntivo per le proprie app di posta elettronica, che ha letteralmente mandato in subbuglio il mondo dei marketer.
Vediamo perchè.
Secondo l’annuncio fatto da Apple, infatti, con l’MPP viene sostanzialmente “nascosto il tuo indirizzo IP in modo che gli speditori di posta non possano associarlo alle tue attività online o ricostruire la tua posizione geografica.
In tal modo”, conclude Apple, “chi spedisce posta non potrà più vedere se e quando hai aperto le loro email”.
L’MPP è entrato di fatto in funzione con le versioni dell’applicazione Mail sui dispositivi iOS 15 e iPadOS 15 mentre non è ancora funzionante su Macbook (lo sarà a cominciare dalla distribuzione di MacOS Monterey, nei prossimi mesi).
Come funziona MPP
Innanzitutto MPP riguarda ogni tipo di email aperta con i client di Apple (Mail, per intenderci), mentre non ha alcun effetto se la posta viene gestita con altri software come ad esempio l’app Gmail su iPhone.
Quando si apre l’app, viene richiesto all’utente se vuole attivare la protezione MPP oppure no. La protezione è, naturalmente, disattivata di default e quindi all’utente viene sostanzialmente richiesto di fare una scelta attiva e cosciente sul livello di privacy che vuole ottenere sul proprio dispositivo.
Se l’utente sceglie di attivare MPP succede qualcosa di molto semplice: Apple inoltra tutta la posta attraverso un suo apposito server proxy che consente di pre-caricare il contenuto del messaggio, compreso il pixel di tracking.
Questo accade anche se l’utente non apre effettivamente l’email!
Per il resto, il meccanismo fa esattamente quello che immagini: scarica solo una volta il pixel di tracking (quindi, per la piattaforma di email marketing tale apertura non corrisponderà a quella effettiva dell’utente, anche dal punto di vista di localizzazione geografica) e ogni volta che aprirete quell’email tutte le immagini al suo interno verranno scaricate dal server proxy di Apple e non dal server del provider, causando chiaramente la non attivazione del tracking.
In sostanza il tasso di apertura delle email che vengono aperte con MPP attivo è falsato: ogni email inviata ad un utente che ha l’MPP attivo verrà automaticamente “aperta” dal proxy causando la rilevazione dell’apertura nella piattaforma di invio anche se l’utente non l’ha realmente aperta.
Cosa fare per limitare i danni
Purtroppo non possiamo fare nulla per contrastare il fenomeno. Stando agli ultimi dati, comunque, potrebbe essere impattante per chi lavora con l’email marketing: l’app dell’iPhone è, infatti, la più utilizzata come client a livello mondiale (38,2% di share) seguita da Gmail (35,6%) e poi ancora da Apple Mail (l’app dei macbook).
Da qui ad affermare che l’open-rate sia morto come parametro per misurare le performance di una campagna, non ci scommettiamo, anche perchè prima di Apple, già altri provider come Google hanno tentato di limitare il tracciamento dei propri utenti da parte delle piattaforme di marketing,
Ma se la composizione del tuo database è maggiormente orientata verso utenti possessori di dispositivi Apple, sicuramente noterai un peggioramento di questo dato e dovrai tenerne conto.
Il nostro consiglio, quindi, è di non affidarsi totalmente al tasso di apertura come parametro di rendimento, puntando piuttosto su indicatori più sicuri come il click-rate, il tasso reale di conversione rilevabile con altri metodi (se siamo in ambito e-commerce) o persino i dati off-mail come le analytics del proprio sito web.